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Relazione Dia: ”In Cosa nostra Riina è ancora al vertice”

Redazione by Redazione
27 Luglio 2017
in Attualità, Primo Piano
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No ai domiciliari, Totò Riina resta al 41 bis all’ospedale di Parma
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“Un’ingombrante icona simbolica” che “conserverebbe almeno formalmente, tutta la sua autorevolezza sugli altri uomini d’onore”. Così la Dia, nella relazione relativa al secondo semestre 2016, dipinge la figura di Totò Riina che, nonostante i suoi ottantasei anni viene considerato dagli addetti ai lavori ancora al vertice dell’organizzazione criminale. Un dato che si ricava anche da recenti operazioni come “Brasca” e “Quattropuntozero”, nonostante il senso d’insofferenza. Infatti, nel corso di conversazioni intercettate, due esponenti di rilievo di famiglie palermitane, affermavano chiaramente che “…se non muoiono tutti e due (rif. Riina e Provenzano), luce non ne vede nessuno, …tutto “u vicinazzu”: Graviano, Bagarella e chistu di Castelvetrano (rif. Messina Denaro Matteo)”.
Il segno che, nonostante tutto, all’interno di Cosa nostra l’ala che ha messo a ferro e fuoco l’Italia tra il 1992 ed il 1994 è un importante riferimento.
La Dia indicano come nel corso del semestre in analisi è deceduto Bernardo Provenzano, “fautore della politica della sommersione, che preferiva muoversi nell’ombra piuttosto che privilegiare l’attacco frontale, assecondando la notevole inclinazione verso gli affari e la capacità di interfacciarsi con il mondo politico-istituzionale”. E poi aggiunge: “La morte dello storico padrino non ha determinato reazioni sussultorie nell’ambito dell’organizzazione che, nonostante i crescenti segni d’insofferenza verso la leadership corleonese, sembrerebbe ancora incapace di sostituire una nuova figura”.
La divisione del territorio
Secondo quanto emerso dalle più recenti acquisizioni investigative, il territorio della provincia palermitana risulta suddiviso in 15 mandamenti (8 in città e 7 in provincia), composti da 80 famiglie (32 in città e 48 in provincia) anche se “la suddivisione dei mandamenti non è più rigidamente osservata, ma talvolta surrogata da un sistema di referenze territoriali, con compiti di gestione complessiva delle attività criminali di maggiore importanza, e da un ampliamento della competenza d’area delle famiglie operativamente più attive”. “I confini e le norme circa la competenza su ciascuna area sono interpretate in maniera più flessibile rispetto al passato, – prosegue – comportando anche sconfinamenti, indebite ingerenze, candidature autopromosse, progetti di scissione. Nel contesto delineato, l’organizzazione si sforza di conservare una struttura unitaria e verticistica, sebbene l’aver concesso a famiglie (e mandamenti) una maggiore autonomia abbia indotto, alcuni giovani boss e varie articolazioni territoriali, all’assunzione di decisioni talvolta non condivise”.
Dalla Commissione Provinciale a nuovi organismi
Con i boss in carcere, nonostante i tentativi di riorganizzare la Cupola (vedi l’operazione Perseo nel 2008), la Commissione provinciale non è più riuscita a riunirsi ma Cosa nostra ha comunque deciso di affidarsi a nuovi organismi che vedono il coinvolgimento delle maggiori famiglie. Scrive la Dia che: “La Cupola palermitana spendeva la sua influente autorevolezza nell’intero comprensorio della Sicilia Occidentale e, in genere, costituiva punto di riferimento anche per le decisioni strategiche attinenti alla rimanente parte dell’Isola. In mancanza di un organismo decisionale, idoneo a dare risposte urgenti in una fase di emergenza, Cosa nostra avrebbe riconosciuto legittimità ad agire ad un organismo collegiale provvisorio, costituito dai più influenti capi mandamento della città”. “Questo organismo assolverebbe a funzioni di consultazione e raccordo strategico fra i mandamenti palermitani – prosegue la relazione – Si tratterebbe di una cupola anomala, che non coinvolge l’intera organizzazione e alla quale prenderebbero parte reggenti scarcerati per fine pena o figli d’arte, che non sempre godono di unanime riconoscimento”. “L’organizzazione mafiosa – conclude – si troverebbe ormai da tempo ad attraversare una fase di transizione. Le famiglie che hanno affidato il controllo del territorio ad elementi impulsivi e talvolta spregiudicati, incapaci di calcolare le conseguenze delle loro decisioni, lontani dallo stereotipo di Cosa nostra, devono ora fare ricorso ai consigli di anziani e uomini d’onore chiamati a sopperire, con il loro carisma, a giovani reggenti inadeguati. Una volta scarcerati, i boss riprenderebbero, infatti, esattamente il loro posto, dedicandosi alla riqualificazione e riorganizzazione delle loro famiglie, decimate da arresti e pesanti condanne”.
Caccia a Messina Denaro, 
Particolarmente forte è l’influenza di Cosa nostra nell’area trapanese dove “presenta ancora una struttura unitaria e verticistica, con un capillare e profondo radicamento territoriale: caratteristiche che la rendono del tutto omogenea a quella palermitana. Nonostante l’incessante opera di contrasto da parte dello Stato, l’organizzazione mafiosa registra tutt’oggi una notevole potenzialità offensiva, grazie al pervasivo controllo del territorio (soprattutto sottoforma di estorsione verso i titolari di attività d’impresa) e all’immutata capacità di adattamento e d’infiltrazione nel tessuto socio-economico locale.
Peraltro, il degrado sociale che connota alcune aree della provincia contribuisce ad accrescere il potenziale criminale di cosa nostra. Questa, oltre a continuare ad imporre un clima di omertà, sembra riscuotere anche un certo consenso nelle fasce più emarginate della popolazione”.
Suddivisa in quattro mandamenti (Alcamo, Castelvetrano, Mazara del Vallo e Trapani), che raggruppano complessivamente diciassette famiglie il prinvipcla ricercato è ovviamente Matteo Messina Denaro, individuato come “il leader più carismatico, ancora in libertà, dell’organizzazione mafiosa. Sulla sua figura si continua a reggere il sostanziale equilibrio tra famiglie e mandamenti e la cattura dei capi più importanti ne avrebbe aumentata l’influenza anche nel palermitano e nella complessiva governance di cosa nostra”. “La rilevante entità dei beni sequestrati a suoi prestanome – scrivano ancora gli analisti – fornisce un’indicazione del potere di penetrazione economica e dell’affarismo di cui la ‘primula rossa’ è stata capace, potendo contare su una pluralità di soggetti insospettabili. La centralità del superlatitante nella gestione degli affari illeciti nei vari contesti della provincia è stata ulteriormente suffragata, anche nel semestre di riferimento, da alcune significative attività investigative”.
di Aaron Pettinari per antimafiaduemila.it
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