Ci sono quelli che inneggiano ai respingimenti in mare per paura che le acque portino forza lavoro in grado di sottrarre quelle residue opportunità che restano ai nostri figli. Siamo in guerra. Ed è la peggiore di questo secolo. È la guerra tra poveri. Ho sentito l’altra sera in TV che vi sono in Italia 5 milioni di poveri, poveri che non hanno un piatto di pasta. Sono i vecchi e nuovi poveri, figli di questo tempo di crisi a cui nessuno, per troppi anni, ha dato ascolto, né voce. Una guerra di solitudine e, insieme, di appartenenza. Una guerra senza vincitori, soltanto vinti, e un solo arbitro possibile, lo Stato. Non immagino vecchi sfaticati cresciuti e pasciuti a pane e assistenzialismo. I nuovi poveri hanno il volto dei giovani laureati, delle partite iva, dei precari a tempo indeterminato. Mi riferisco a chi stenta ad avere anche una prima occasione, un primo approccio attraverso un tirocinio, a chi accetta uno stage non retribuito pur di “cominciare ad entrare”, dimenticando o facendo finta di non sapere che il lavoro, qualsiasi e a qualunque età, va sempre retribuito. Parlo di chi accetta di essere dequalificato e demansionato pur di non essere licenziato. Ecco perché non ci si può sdegnare se, mancando tutto, in tanti decidono di scagliarsi contro l’altro, contro il prossimo, anche se sta nella stessa condizione. È questa la guerra tra poveri, fatta di paura e che non ha necessariamente bisogno che l’altro sbarchi da una costa lontana. Ma che certo, se lo vede arrivare, non ha alcun motivo per accoglierlo. Inutile dire che l’altro siamo noi stessi. Perché ormai quello che conta sono i fatti. E i fatti dicono che siamo poveri e soli. “Povero” non è solo chi non ha una opportuna quota di reddito per la sussistenza, ma anche chi non può consumare una quantità necessaria di prodotti essenziali perché è una figura marginale del mercato del lavoro. Vi è infatti una parte della popolazione che, pur lavorando e ricevendo quindi un regolare stipendio, risulta inclusa tra i poveri perché il salario risulta l’unica fonte di sostentamento per la famiglia ed è totalmente inadeguato per vivere una vita dignitosa. Comunque povertà è soffrire la fame, è vivere senza un tetto, è essere ammalati e non poter essere visitati da un medico; povertà significa non andare a scuola e non sapere leggere, è non avere un lavoro o avere un lavoro precario, intermittente, è vivere arrangiandosi, è paura del futuro…. Si potrebbe continuare all’infinito nell’elenco dei significati di povertà, ma oggi si parla sempre più di povertà relativa oltre alla povertà assoluta, di nuove povertà, di lavori poveri, di impoverimento dei ceti medi. Siamo al buio. E ci resteremo fino a quando non si girerà l’interruttore delle idee, per il lavoro, la buona formazione, lo sviluppo. Questa è la scommessa che fa la differenza tra la guerra e la pace. E bisogna lavorare per la pace e non solo sociale.
Salvatore Giacalone
14 Dic. 2022