A cura di Sonia Caporossi, la “Marco Saya Edizioni” pubblica “L’infinita solitudine”, l’“Antologia ragionata delle poesie” di Giacomo Leopardi (Milano 2020, pp. 148, € 15, 00). In una sua nota (interna al libro stesso), nominata “Struttura dei testi”, l’autrice stessa scrive che la sua “operazione di antologizzare” i testi “potrebbe far storcere il naso ai puristi dell’unità dell’opera” (p. 28). Ma – precisa – «come sanno bene gli addetti ai lavori, i Canti non sono un’opera onnicomprensiva della produzione di Leopardi. Vi sono stati espunti, dall’autore stesso, le poesie giovanili, la cantica Appressamento della morte […]» (ibid.). Ma, citando i passi del risvolto di copertina, qui piace sottolineare il senso pieno dell’operazione culturale di Sonia Caporossi. È il senso pieno dell’attualità del pensiero di Giacomo Leopardi, un classico che il presente legge con il linguaggio che gli appartiene. Del resto, non potrebbe essere diversamente, se la Caporossi (rimanendo agli stralci in risvolto di copertina; stralci prelevati dalla stessa introduzione dell’autrice e dalla postfazione di Antonino Contiliano) parte con un incipit di Sebastiano Timpanaro. Riportiamo per intero i due frammenti: 1) «Sebastiano Timpanaro ci avverte che “l’attualità del Leopardi è l’attualità di un classico”, nel senso che «non ha mai sacrificato il significato al significante, non è stato mai poeta di pure immagini o di puri suoni, non ha mai rinunciato a fare della sua poesia o prosa d’arte uno strumento conoscitivo: da questo punto di vista, non è un contemporaneo e va letto “storicamente”». Il cantore dell’infinita solitudine è, insomma, un inattualissimo attuale: “chi si sente suo contemporaneo (non solo ammiratore ma “seguace”) deve avere la consapevolezza di trovarsi in una posizione di minoranza, nonostante il frastuono ingannevole dei congressi […] e la plètora della bibliografia”. E come tale, noi ultracontemporanei abbiamo il dovere di avvicinare, di leggere, di restituire il Conte Giacomo a ciò che, nobilmente, grandemente e solamente gli spetta. (Sonia Caporossi)»; 2) «La parola infinito nella poesia del Recanatese […] è come un’astrazione sfumata che caratterizza e definisce anche gli enti “non quanti” (direbbe il Galilei della nuova sdenta matematica-fisica, così presente nelle letture di Leopardi), sebbene diverso appaia il livello di realtà e diversa la funzione. Sì che, allora, con una lettura che prefigura l’av-venire, all’Infinito di Leopardi non potrebbe non essere applicata (due negazioni nella logica classica affermano per assurdo!) anche la formalizzazione “0 ↔ ∞” (↔: se e solo se) il «Sempre» e il «di là di quella» del pensiero leopardiano. (Antonino Contiliano)».
di Giacomo Cuttone