Visitare la mostra antologica di Attilio Patito all’ex Convento del Carmine di Marsala (inaugurata il 17 novembre e aperta fino al 28), per me è stato, oltre che rivedere dopo tanto tempo un amico, un ripercorrere alcune pagine importanti del mio/nostro percorso artistico: diverse tappe espositive nella provincia trapanese fino ad arrivare nella Racalmuto di Leonardo Sciascia (che ha inaugurato una nostra mostra). Un ritorno a quegli anni 80/90 vissuti “in” e “out” al Centro Arti Visive di Piazza Loggia di Marsala (co-fondatori insieme a Vito Linares e ad altri); anni ricchi di estemporanee e mostre in tutto il territorio trapanese, anni d’incontri e scambi con molti artisti provenienti da tutta la Sicilia.
Patito si muove, da sempre, nell’ambito dell’arte figurativa, affascinato dalla pittura di un siciliano illustre, Renato Guttuso; non il Guttuso dell’impegno politico ma del pittore delle piccole “cose” quotidiane: oggetti usati, vissuti e usurati dal tempo, ortaggi e frutta tipici della terra di Sicilia. Un arte, insomma, che si “nutre di vita” e non viceversa perché “il pittore dipinge solo le cose e, dal modo come le dipinge, scaturiscono le idee” (R. Guttuso, De Chirico o Della Pittura, 1970). Una pittura, la sua, lontana da ornamenti retorici ma fatta di “cose” che, via via, diventano “cose delle cose”, poste su piani e ancorati ad un reale dai passaggi bruschi di luce ed ombra. Una solarità mediterranea che si riflette anche nei suoi paesaggi che, sovente, sfociano in visioni meta-fisiche (prospettive che direzionano lo sguardo verso un orizzonte su cui si staglia la silhouette di un’isola e sopra di essa, come sospeso, un sole esagonale), dove il tempo sembra – solo per un momento – essersi fermato per far posto all’enigma, alla inesplicabilità; una realtà onirica.
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Giacomo Cuttone