Andrà in scena domenica 23 luglio in Prima nazionale al Festival Orestiadi di Gibellina, “Il Derviscio di Bukhara”, spettacolo scritto da Alberto Samonà, che conduce il pubblico fra le magie dell’Oriente e dell’Asia: un viaggio, che attraverso teatro, musica e danze sufi, permette di incontrare la spiritualità dei dervisci, di cui Bukhara, città nel cuore dell’Asia Centrale, fu in vari periodi uno dei centri più importanti.
In scena gli attori Stefania Blandeburgo e Davide Colnaghi. Musica e canti sufi con Tito Rinesi & Ensemble Dargah: Tito Rinesi (voce, tamburo a cornice, saz), Piero Grassini (oud e voce), René “Rashid” Scheier (flauto ney) e Flavio Spotti (percussioni e voce). Danze dei dervisci e coreografie con Amal Oursana (danze sufi) e Grazia Cernuto (danze persiane).
Tra simboli, racconti e analogie proprie del Sufismo, “Il derviscio di Bukhara” è un invito alla ricerca interiore e alla scoperta di un universo che si dischiude man mano che la narrazione prosegue, con le danze e la musica sufi che accompagnano gli spettatori in una dimensione senza tempo, ancorché antica di secoli. Ed è un incontro fra tradizioni: la spiritualità dell’Asia Centrale, le danze dei dervisci e quelle di più marcata influenza persiana, la musica sufi dell’area turco ottomana e del vicino Oriente; un incontro che è metafora di un viaggio lungo la “Via della Seta”, di cui la città di Bukhara, fu uno dei centri principali, meta di viaggiatori di ogni provenienza che attraversavano vasti territori su questa rotta che congiungeva e congiunge, spiritualmente e culturalmente, Oriente e Occidente, fino al Mediterraneo.
Al centro della vicenda narrata c’è l’arte dei tappeti e della loro tessitura, che in questi luoghi si tramanda da sempre pressoché immutata e che schiude alla conoscenza di antichi saperi. Ma è anche un racconto d’amore: fra i riferimenti e le fonti a cui si ispira lo spettacolo, infatti, vi sono fiabe e poemi orientali, fra cui la storia di “Leyla e Majnun” di Nizami Ganjavi, poeta persiano del XII secolo d.C. Il testo è, inoltre, arricchito anche dall’inserimento di racconti della tradizione del Sufismo, tramandate nei secoli e giunte fino a noi.
Le armonie musicali e i canti sufi, patrimonio dei dervisci, accompagnano sovente il sacro rito dello zhikr e le danze danno la possibilità di scoprire un universo sacro che congiunge il nostro piano con quello Divino. Allo stesso modo, il ritmo della voce completa l’opera in una “circolarità rituale”, che lo spettacolo mette in evidenza. “Il derviscio di Bukhara” può, dunque, essere considerato come un gesto di ringraziamento, di armonia con il piano universale, che avviene mediante la parola, il suono e il movimento.
Dopo il debutto alle Orestiadi, il 25 luglio lo spettacolo andrà in scena al “Barbablù Fest” a Morgantina (Aidone, En), e i primi di settembre a Palermo e al Teatro della Nike di Naxos, per poi circuitare anche in altre regioni italiane.
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