Un gruppo facebook, ProPostArt…”io mi ricordo”… (1681 membri), creato dall’infaticabile Vincenzo Caruso (direttore scolastico negli istituti d’arte, in quiescenza), diversi esperti e moderatori sparsi in tutta la Sicilia, tanti video prodotti sull’attività artistica di molti artisti siciliani e un volume (in PDF, composto da ben 474 pagine), “Dialoghi, conversazioni, dibattiti… a tre anni della creazione del gruppo”.
In questi tre anni di attività, il gruppo ha saputo proporre, sicuramente, il meglio che circola in Sicilia, nel campo delle arti visive e spesso lontano dai riflettori della “grande critica” nazionale dallo sguardo non dis-interessato, sicuramente “gettonato”.
Qui, tenteremo di puntare il nostro sguardo, parziale (per rientrare negli spazi “angusti” di un articolo), sul lavoro di alcuni di questi artisti.
Carlo Bertocci: Tra cultura classica (greco-romana e rinascimentale) e metafisica (che alla cultura classica faceva riferimento anche se in contesti di “straniamento” e di sogno), questo è il mondo di Carlo Bertocci? Sicuramente, nella sua pittura, c’è più di un riferimento. Una pittura “contemporanea” di qualità (non solo temporale ma nel suo “fresco” linguaggio), che risulta impregnata/intrisa di quella cultura che ha fatto e, continua a fare, grande l’arte italiana.
MoMò Calascibetta: Tra Bosch e Grosz oscillano le sue visioni, tra ironia e sarcasmo, tra il grottesco e la dissacrazione. L’artista rappresenta l’allegoria dell’umanità, un’allegoria dai toni gioiosi, mai macabri, anche quando affronta temi drammatici. La sua pittura è caratterizzata da un sovraffollamento scopico volutamente esagerato; sono scene – le sue – senza comparse, tutti nel suo “giardino” sono protagonisti del proprio destino. Nella sua pittura non c’è nebbia né foschia, tutto è chiaro, limpido, luminoso, solare, perché Momo’ è e rimane figlio della terra che gli ha dato i natali; la luce che non vede intorno gli scorre nelle vene e arriva dritta al suo (ma, anche, al nostro) cuore.
Antonio Caldarera: Sur-reale e meta-fisico il suo linguaggio; è poesia che mette a nudo “le ombre della mente”. Il suo è un “paesaggio” poeticamente crepuscolare dal colore di miele. Un enigma che trafigge il fruitore, attra-versandolo totalmente, nella mente e nel cuore.
Rosalba Carlino: Cosa sarebbe un paesaggio senza cielo? E cosa sarebbe un cielo senza nuvole? Impossibile immaginare i paesaggi di Rosalba Carlino senza cieli né nuvole; i suoi veri “paesaggi” sono le nuvole che affollano il cielo, nuvole che “Vanno/Vengono/Ogni tanto si fermano…” (Fabrizio De Andre’), tutto il resto è secondario, marginale. Il cielo, qui, è paesaggio e mare insieme che vive di vita propria, senza la presenza o il bisogno della “presenza” di qualcos’altro. Il cielo della Nostra è vita, movimento, energia, forza; è il turbinio dell’anima!
Vito Catalano: Le sue opere oscillano tra futurismo e cubismo, tra movimento e “tempo”. Sono opere affidate al “mause”, al digitale. Catalano, però, sa che “le nuove tecnologie non sono un fine ma un mezzo e un cominciamento”; sa che “bisogna ricercare le loro negatività perché esse possano andare più lontano” (Paul Virilio) e lo sta facendo, brillantemente!
Dino Cunsolo: Il “fare” artistico dello scultore catanese ri- percorre la grande tradizione della scultura italiana, dal Barocco al Neoclassicismo, oscillando tra bellezza delle forme e movimento, senza essere, per questo, “tradizione”. Con maestria, dà corpo, carne e vita al mito che, reso vivo e attualizzato, si fa linguaggio straordinariamente “moderno”.
Michele Digrandi: L’autore, con i suoi dipinti, ci fa viaggiare per condurci lì dove lo sguardo si perde, dove l’orizzonte non è più. In questo viaggio si respira una “guccioniana” atmosfera mediterranea dove l’infinito, pur restando in-finito, diventa finito, luogo esistenziale dell’esistere.
Santo Di Grazia: Rubare una penna, anche se alla luna, non è reato quando, soprattutto, se ne fa buon uso e, il Nostro, sicuramente, la usa magistralmente. Auguro a Santo (e di riflesso a noi) ancora tanti “furti di penna”, l’importante che non siano su commissione; furti liberi come i segni che traccia sulla superficie. La luna lo ha già perdonato!
Cesare Di Narda: È un mondo meta-fisico, un mondo dove la superficie diventa spazio scenico e, in questo spazio può accadere di tutto e, a volte, accade di tutto. Sono scene, le sue, che oscillano tra sogno e realtà, oniriche, enigmatiche. I colori solari ravvivano la superficie rendendola viva, pulsante, vibrante e irradiano lo sguardo del fruitore: è una luce che cattura senza abbagliare.
Antonia Fontana: In principio era… con-fine la pittura senza fine della nostra artista. Una superficie, la sua, fluida, liquida, di un liquido tonale, senza sbalzi di colore. Una pittura che, comunque, rimane “mediterranea”; di un Mediterraneo senza sole ma “bagnato” dalla brina mattutina, offuscato dalla brezza di mare o dalla nebbia bassa della sera. Una pittura, insomma, ad alto tasso di umidità “poetica”!
Sergio Mammina: Il suo mondo immaginario è popolato da animali, anche da quelli più piccoli e apparentemente “insignificanti”, immersi in una natura “snaturata” dal cosiddetto “progresso” scientifico e tecnologico. Le sue grafiche raffinate, realizzate con perizia tecnica, propongono una visione fantastica della natura. È come immergersi in una lunga e affascinante favola, a volte onirica e surreale, dove – come in tutte le fiabe che si rispettano -, pur non vedendosi, se non nei suoi effetti devastanti, si avverte la presenza del “lupo cattivo” come rappresentazione simbolica del male e del pericolo.
Alfredo Marsala Di Vita: Nelle sue opere vi è un gioco continuo tra interno ed esterno (l’interno diventa esterno e viceversa) fatto di riflessi ed ombre, fasci di luce improvvisi che squarciano l’oscurità. E’, la sua, una pittura fascinosa, la superficie assume le fattezze e la morbidezza del velluto.
Marcello Montalbano: Il di-segno è un’”altra” forma di scrittura; ogni “scrittore” ha una propria calli-grafia; come tutte le “lingue” ha una sua grammatica, una sua orto-grafia. La “scrittura” di Montalbano Marcello è una “scrittura” foto-grafica, ma mai oleo-grafica, che rispetta tutte le “regole” (grammaticali ed ortografiche) pur essendo “fuori dal comune”. La perfezione delle forme e l’accuratezza del segno, tuttavia mai impersonale, non è volta ad un’adesione ai linguaggi iper-realistici; vuole, invece, di-mostrare che è possibile ancora oggi – nonostante gli ausili tecnologici a disposizione – “scrivere” con le mani, sporcandosele, e “con le mani” raggiungere livelli di perfezione alta e “altra”, senza mai perdere in liricità.
Sebastiano Messina: Le sue sculture s’inseriscono a pieno titolo in quel filone importante della scultura figurativa italiana del Novecento (quella, per intenderci di Arturo Martini, Marino Marini, Giacomo Manzu’, Emilio Greco…). Le sue figure hanno una relazione costante con lo spazio che le circonda. Sono figure stra-ordinariamente espressive dove la “poetica del corpo” oscilla tra mito e sentimento, ri-fuggendo sempre da certa “monumentomania” che caratterizza l’opera di molti scultori nostrani. Non c’è retorica ma poesia, di quella che fa bene al corpo e all’anima.
Saverio Rao: Sono angeli di luce e di energia, sono oceano che muove tutta la realtà, quelli che ha
dipinto (e dipinge). Sono angeli, a volte, che hanno bisogno di attenzione e cure; a volte, invece, sono messaggeri di bontà e di purezza; sono sogno, pensiero, presenza. Gli angeli di Rao, sono personaggi misteriosi e sconosciuti; sono “custodi” che ci accompagnano nel percorso della vita. Tutti – nella sua pittura – abbiamo un “nostro” angelo, anche chi commette crudeltà o cattive azioni. Sospesi, in volo o abbandonati al suolo, gli angeli del “pittore degli angeli” sono sempre messaggeri di pace e portatori di istanze ecologiste; sono fragili ma determinati; si muovono in scenari sur-reali, meta-fisici; vivono l’enigma senza averne paura; pongono e sollevano questioni perché a “noi”, e solo a “noi”, spettano le soluzioni, quelle giuste!
Beppe Romano: “…acqua di mare, quest’uomo dipinge il mare con il mare” (Baricco, “Oceano mare”). Fra le tante frasi belle, profonde e legate all’arte del dipingere il mare, quella che mi è, subito, venuta in mente, nel guardare i dipinti di Romano, è proprio questa. Si, Romano ha dipinto “il mare con il mare”, pur non avendolo dipinto del tutto. A farlo chiama in causa il fruitore, rendendolo partecipe nel completare il lavoro e, il fruitore, lo fa con la propria idea che ha del mare, con i colori, i sapori e la musica che ad esso associa da sempre. Se, poi, guardiamo la sua opera “Il furto di Rebecca” non possono non venirci in mente i due dipinti che il pittore belga René Magritte realizzò con il titolo de “La condizione umana”. Magritte e Romano giocano con la/sulla percezione della realtà. Magritte mise “di fronte a una finestra, vista dall’interno d’una stanza, un quadro che rappresentava esattamente la parte di paesaggio nascosta alla vista del quadro”. Qui, invece, la porzione “rubata” da Rebecca si trova sfalsata rispetto all’orizzonte, lasciando il vuoto/bianco nella parte occupata precedentemente. Ma Romano fa di più: Rebecca è, contemporaneamente, dentro il quadro e dentro il quadro nel quadro. Tutto è risolto, come in Magritte, in maniera foto-grafica. Resta il vuoto di quel piccolo rettangolo bianco, unico baluardo rimasto a dirci che quella che stiamo vedendo non è la realtà, bensì una realtà dipinta (“E’ così che vediamo il mondo: lo vediamo come al di fuori di noi anche se è solo d’una rappresentazione mentale di esso che facciamo esperienza dentro di noi” – Magritte). Un baluardo, infine, che sembra volerci dire che tutto ebbe inizio semplicemente da una tela bianca.
Salvo Russo: Guardando le sue opere non si può che ricordare i fiamminghi e, in particolare modo, i dipinti del grande visionario Hieronymus Bosch, a mio avviso un surrealista ante litteram; così come non è possibile non accostarli a quelle del marchese Salvador Dalí, altro grande visionario a cui piaceva dipingere spesso, come a Salvo, l’elefante. Nella pittura di Russo il riferimento è alla Città dell’Etna ma, al contempo, rappresenta, come per Dalí, “la distorsione dello spazio”. Pittura, dunque, visionaria e fantastica quella del Nostro ma realizzata utilizzando tutti gli elementi figurali reali, direi foto-grafici; elementi assemblati, solo apparentemente alla rinfusa, in una sorta di palcoscenico-teatro dell’assurdo dove una parte importante viene “recitata” da grandi e suggestivi cieli. Salvo Russo rivela, opera dopo opera, la sua “passione per le componenti più irrazionali dell’animo umano” (in fondo è un artista romantico che si muove in scenari metafisici e surreali), rivelando cromaticamente la sua anima mediterranea, il suo attaccamento alla sua terra, pur riconoscendone tutte le contraddizioni.
Francesca Scalisi: È sicuramente un’artista in-formale (cioè che si sot-trae d/al figurativo) dalla pennellata espressionista. Il colore a volte graffia la superficie, rendendola vellutata, altre volte, invece, si fa segno inciso, scrittura. L’impasto, via via, diventa “corpo”, materia pura, macchia (Tachisme). Il suo in-formale è “abitato” da passioni e tensioni, mai dai disagi tipici della corrente artistico-pittorica di fine anni ’40 del secolo scorso. Nel suo universo c’è tutta la lezione di Burri e di Rothko, a volte anche di Tàpies ma mai quella di Pollock. L’universo “scalisiano” è, però, un universo tutto suo; un universo che evidenzia quel “quid” che caratterizza l’azione espressiva di una donna/“pittora” impegnata che guarda al futuro con gentilezza (la sua forza!), mostrando tanta sensibilità alle problematiche del suo tempo, che è anche il nostro.
Rosy Torre: Potremmo definire la sua pittura iper-realista perché ri-produce la realtà fedel-mente e in maniera rigorosa; perché è caratterizzata da un forte illusionismo; perché, infine, cattura anche i piccoli dettagli in maniera quasi “maniacale”. C’è, però, dell’altro nella sua pittura. C’è un’attenzione particolare per le superfici informali, per la pennellata, a volte liquida, a volte materica con qui risolve gli sfondi. La Nostra ci cattura lo sguardo, ad esempio, con le pieghe di una mano, con il forte contrasto luce-ombra, con figure viste fortemente di scorcio, per poi guidarci in spazi senza disegno né prospettiva; dei veri e propri spazi dell’anima.
Andrea Volo: Il linguaggio pittorico di Andrea Volo è sicuramente espressionista, sia nell’uso di una pennellata “nervosa” ed “istintiva” che nell’esasperazione emotiva della realtà rap- presentata. La sua pittura, però, non è “datata” e non trasmette il senso di angoscia tipico del movimento d’inizio del Novecento. Anzi, avviene esattamente il contrario. Questo è dovuto sia per l’uso di una gamma coloristica che tende a privilegiare la “joie de vivre” di matissiana memoria, sia per la costruzione di uno spazio straordinariamente moderno e contemporaneo. All’interno della sua pittura, pur rimanendo un artista figurativo, c’è tutta l’esperienza delle avanguardie del secondo Novecento, dall’astrattismo all’”action painting”, fino ad arrivare all’esperienza pop ed oltre. A volte – il Nostro -, infatti, raggiunge i confini del pianeta verbo-visivo. Un artista dalla cultura “nordica”, che non ha mai dimenticato le proprie radici, impregnate da tanta solarità isolana e mediterranea.
Gaetano Zingales: L’artista, con la sua pennellata pastosa e, al contempo, graffiate, ha reso poetica, nel suo lungo percorso, l’”archeologia” del contemporaneo. Le periferie metropolitane fatiscenti, degradate e precarie, gli scheletri di barche abbandonate acquistano, nelle sue opere, valore, dignità e nuova vita.
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Giacomo Cuttone