
Il Vescovo di Mazara del Vallo
Messaggio ai pescatori di Mazara del Vallo
“Fratelli tutti, pescatori tutti”
Carissimi pescatori,
ora che i riflettori dei media (telegiornali, notizie on line, interviste) si sono spenti, dopo che i nostri 18 marittimi sono stati liberati e sono tornati a casa pochi giorni prima di Natale, ho pensato di rivolgervi un messaggio fraterno. Mi dispiacerebbe, infatti, che tutto adesso si spegnesse, anche le nostre relazioni, che in questa drammatica vicenda si sono intessute intensamente e anche fruttuosamente. Non tutto può tornare come prima. I nostri uomini dovevano tornare alle loro case, alle loro famiglie, dalle loro mogli e dai loro figli, dalle loro madri e tra i loro cari, al loro lavoro; ma ora tutto non deve tornare come prima. L’esperienza che abbiamo vissuto insieme anche se in distanza: i 18 in una dura e brutta prigionia, noi qui a pazientare, a sperare, a chiedere talora con rabbia la loro liberazione, ora che non è più cronaca, deve rimanere una vera e profonda relazione. Il mondo della pesca e la città di Mazara del Vallo, chiedono di avviare rapporti veri e forti di incontro, di condivisione, di scambio, di amicizia, di fraternità. Dobbiamo cogliere questa occasione favorevole per una inversione di rotta radicale; il Vangelo direbbe per una profonda conversione. Da dove ripartire? Sicuramente dall’esperienza vissuta drammaticamente per 108 lunghissimi giorni. È importante ricordare e fissare nella memoria quanto umanamente ci ha segnato, ci ha cambiato, ci ha fatto sentire la forza degli affetti, ci ha fatto soffrire la lontananza. Sappiamo bene, non solo dal mese scorso, che rischi e pericoli del nostro mare, o mare nostrum,
non sono dovuti solamente alle intemperie metereologiche, o alla scarsità del pesce. Purtroppo nel mare nostro ci sono drammi infiniti di marittimi e morti tragiche di uomini e donne, giovani, bimbi migranti, visti come pericolo, minaccia, nemici. Ma se i volti dei pescatori sono segnati da rughe di fatica, angoscia e incertezze, i volti dei migranti, se salvati, sono marcati da persecuzioni, torture, minacce, privazioni. Tutti portano i segni di una umanità ferita o spogliata della sua dignità. Conosciamo bene le fatiche dei nostri pescatori, esposti alla violenza ingiustificata senza alcuna protezione. Così come conosciamo le ragioni politiche e ideologiche che alimentano naufragi catastrofici, offesa alla dignità delle persone. Senza dimenticare queste tragedie, oggi faccio mia l’invocazione dei nostri marittimi: Mare nostro torna a darci il nostro pane quotidiano in sicurezza! È la richiesta pressante e non più rinviabile dei pescatori, di ogni cultura e di ogni religione, ogni volta che le loro mani si intrecciano con i fili della rete e il peso del pescato diventa memoria del sacrificio della vita per le proprie famiglie e per i propri figli. Il pane e il lavoro sono le ragioni che spingono i pescatori ad andare a mare e sono il modo con cui essi amano la propria famiglia e danno speranza al futuro dei figli. Mani scavate dal sale che profumano di pane e di figli! Nei difficili giorni di prigionia, quando i nostri pescatori stavano con le mani raccolte, forse a pregare, o semplicemente ad aspettare senza perdere la speranza, mani capaci di raccogliersi per
non far affievolire il legame con i propri cari, anch’io ho scelto di impegnare le mie mani, mani di uomo di questo mare, di vescovo pescatore di uomini in questa Chiesa. Sì, anche le mie sono mani
per un cuore di pescatore, perché pescatore mi hanno reso il Vangelo e la vita del Signore Gesù. Con queste mani, che non servono solo per celebrare, ho avuto il privilegio di poter stringere le mani delle vostre madri e dei vostri padri, dei vostri figli e delle vostre mogli e con i miei collaboratori dare loro concretamente un sostegno per le necessità quotidiane. Le mie mani sono diventate memoria delle vostre: il vostro lavoro e il vostro sacrificio si è reso realmente presente e ha portato frutto attraverso le mie mani di pescatore del Vangelo, mentre consolavo il pianto e le lacrime di dolore, mentre accarezzavo il desiderio dei vostri figli di riabbracciarvi presto, mentre aiutavamo le vostre donne a risolvere qualche difficoltà. Le mie mani senza le vostre sarebbero state fredde e vuote; ma non lo erano, perché l’amore fraterno che ci lega le ha fatte diventare le vostre mani, quelle delle reti, quelle delle barche, quelle del mare, quelle dei sacrifici. Per questo Gesù mi ha fatto pescatore di uomini, perché io potessi continuare il lavoro delle vostre mani e trasfigurarlo in preghiera, in dono, in offerta. La memoria delle vostre mani impressa nelle mie, mi spinge a dirvi: Grazie! Accanto alle vostre famiglie ho visto, riconosciuto e apprezzato il valore unico delle vostre mogli e madri, donne esemplari, che completano quanto voi fate sulle barche, in mezzo al mare. La loro capacità di farsi carico del peso della vita, delle necessità del quotidiano, delle sfide dell’educazione dei figli e dei tempi lunghi di attesa, e anche delle sensazioni di paura e di solitudine. Ho pensato che come Maria, la giovane ragazza di Nazareth, anche loro, le donne mazaresi, alcune molto giovani, altre più grandi e cariche di esperienza e di sacrifici, fanno delle vostre case e delle vostre famiglie un luogo benedetto dove i figli imparano la difficile arte della vita buona. Le mie mani, sospese tra le vostre barche e le vostre case, restano ancora pronte a pregare, a supplicare, a benedire. Chissà quante volte avete controllato le vostre reti, verificandone l’affidabilità a sopportare e tenere il pescato, perché il frutto del vostro lavoro non andasse disperso. Affinché il valore del sacrificio umano non vada mai vanificato è necessario prendersi cura delle reti, cioè delle relazioni. Quando sulla motovedetta della Guardia Costiera sono uscito a dare il benvenuto a casa ai nostri pescatori, finalmente liberi sui due pescherecci, speravo tanto di trovare altri pescatori, altre barche, altri fratelli pescatori con me ad aspettarli. Ricordo ancora la mia prima e unica visita pastorale in mare, nei pescherecci, fino a dietro Pantelleria, e la fatica nel coinvolgere il corpo della marineria. Eppure sappiamo bene tutti che quello che è capitato ai 18 marittimi poteva capitare a ogni barca con il suo equipaggio. Quanti vanno a pescare sanno bene che potrebbe capitare a chiunque di essere sequestrati, di trovare nelle proprie reti oltre che i pesci anche i cadaveri dei migranti, il mare rende tutti uguali e fragili di fronte alla vita e al lavoro. Perché allora non provare a diventare un solo corpo, a fare rete, a mettere insieme energie, risorse, anche paure e fragilità e fare un unico discorso, un patto di solidarietà e di vicinanza fra pescatori – fratelli? Tutti pescatori, tutti fratelli! Ho apprezzato molto la vicinanza, la sinergia, la sintonia dell’amministrazione comunale e dei sindacati in questi giorni difficili. Tutti insieme per riportare a casa i nostri pescatori, i nostri fratelli. Accogliete la preghiera di queste mie povere mani di pescatore di uomini: uniamo tutti le nostre mani! Attiviamo, perciò, legami di buon vicinato, di amicizia sincera, di fraternità vera; legami che durano, attraversano le tempeste, fanno cambiare rotta per soccorrere, rendono migliori, spingono al perdono, trasformano in pescatori di uomini, come me, come gli Apostoli. Fratelli tutti, pescatori tutti. Dobbiamo intraprendere questa rotta del dialogo e dell’incontro tutti insieme con l’amministrazione comunale, i sindacati e i marittimi liberati con le loro famiglie. Tenderò le mie mani a voi pescatori, alle vostre famiglie, ai vostri cari per prendere insieme il largo nel mare nostro, perché sia ancora e di nuovo mare di pace, di lavoro, di dignità. Ma per realizzare questo sogno dobbiamo fare rete, stringere un patto di fraternità, tornare a pescare insieme, come i discepoli del Vangelo. E io ci sono, con voi e in mezzo a voi!
Mazara del Vallo, 07 gennaio 2021.
✠ Domenico Mogavero