e passeggiate in spiaggia a Ferragosto quando l’attenzione delle forze dell’ordine non era ancora pressante, le chiacchierate di nascosto in auto per non far parlare la gente, il rapporto con la figlia: così Laura Bonafede, la donna che per anni è stata sentimentalmente legata a Matteo Messina Denaro, ha raccontato al gup la sua storia col boss.
“Io ho conosciuto un lato buono perché lui era una persona spiritosa, educata, divertente e mi faceva trascorrere quelle ore allontanandomi dalla mia quotidianità che era un poco pesante”, ha detto l’insegnante, figlia dello storico capomafia di Campobello di Mazara, nel corso di lunghissime dichiarazioni spontanee rese prima che il magistrato emettesse la sentenza.
Un tentativo di descrivere come ordinario il rapporto che per decenni l’ha legata a uno dei più sanguinari padrini di Cosa nostra.
Ma la difesa non è servita ad evitarle una condanna a 11 anni e 4 mesi – i pm Piero Padova e Gianluca De Leo avevano chiesto 15 anni di reclusione – per il reato di associazione mafiosa. Bonafede, dunque, per la Procura non si sarebbe limitata a coprire la latitanza del padrino, ma avrebbe gestito la sua rete di comunicazione, ne avrebbe condiviso segreti e affari, consolidandone il ruolo in Cosa nostra.
“Non ho mai fatto parte di nessuna associazione mafiosa, non ho mai convissuto con alcuno anche perché ho abitato con mia madre fino al 2021, si figuri se potevo dormire fuori casa, vai a trovare una giustificazione. Le volevo dire soltanto, le volevo chiedere di valutare la mia posizione per quella che è e mi auguro di trovare in lei quel giudice di Berlino che tutti ci auguriamo di incontrare”, ha detto al gup. Una versione che contrasta con le decine di pizzini trovate al capomafia dopo il suo arresto: diari, messaggi, lettere in cui la maestra di Campobello di Mazara e il boss ricercato ricordavano gli anni in cui avevano vissuto insieme come una famiglia, usando un linguaggio cifrato, o commentavano dinamiche e fatti dell’organizzazione mafiosa.
“Ci davamo un appuntamento in una via di Campobello… io salivo in macchina ce ne andavamo assieme. – ha raccontato- Questo fino al 2013 quando hanno arrestato sua sorella e lui in un incontro mi ha dato una lettera e in quella lettera c’era scritto che non potevamo più vederci perché i controlli a Campobello si erano intensificati e quindi non poteva rischiare”. Ma il rapporto tra l’insegnante e il capomafia non si è mai interrotto. Messina Denaro ha frequentato anche la figlia della donna, ora a giudizio per favoreggiamento, trattandola come fosse sua figlia.
“Le diceva a Martina dove si dovevano vedere e trascorrevano qualche pomeriggio insieme studiando – ha raccontato – A lui piaceva molto il latino e la aiutava nella storia e nel latino”. Il boss stragista nel racconto della donna è diventato dunque un uomo paziente e rassicurante. Ma nella storia della maestra – ha fatto notare al gup il pubblico ministero – c’è un buco: “sono spariti degli anni in cui, non so se la signora se ne è accorta, saltavano delle autostrade in Sicilia e in Italia, saltavano anche gallerie d’arte, chiese, sono morti magistrati, sono morte donne incinte, non so se la signora l’ha saputo che sono morte donne incinte nel trapanese in quegli anni, però dal ’92 al ’96 non sappiamo che cosa è successo né la signora sa che cosa è successo”.
Infine la maestra è stata condannata a risarcire le parti civili. Al Comune di Castelvetrano e a quello di Campobello di Mazara sono stati riconosciuti 25.000 euro ciascuno di risarcimento del danno, 10.000 euro dovranno essere pagati dall’imputata al ministero dell’istruzione e alla presidenza della Regione. Bonafede è stata infine condannata a risarcire con 3.000 euro ciascuno il centro studi Pio Latorre, l’associazione antimafia Caponnetto, l’associazione antiracket di Trapani e l’associazione Codici Sicilia.