Hanno imboccato una pista precisa le indagini sull’omicidio di Giuseppe Marcianò, il quarantasettenne imprenditore agricolo originario di Carini ucciso con tre colpi d’arma da fuoco, lo scorso 6 luglio, nelle campagne di Campobello di Mazara.
L’agguato scattò in contrada Bosco Vecchio, in una delle stradine che dalla frazione balneare di Tre Fontane, dove la vittima trascorreva i mesi estivi con la moglie e i due figli, portano verso l’entroterra. La novità è che l’indagine, inizialmente coordinata dalla Procura di Marsala, con il pm Niccolò Volpe, e la Dda di Palermo, con l’aggiunto Paolo Guido, adesso è passata esclusivamente nelle mani dei magistrati della Direzione distrettuale antimafia di Palermo.
Evidentemente, da quanto emerso, la pista sarebbe mafiosa. Del resto, così già facevano presumere, sin dal primo momento, le modalità dell’omicidio: dalle armi utilizzate, una pistola e un fucile, all’auto utilizzata dai killer bruciata subito aver portato a termine la missione di morte.
La tempistica dell’omicidio sarebbe stata studiata in ogni dettaglio. Tre colpi esplosi alle spalle e la morte quasi immediata.
Marcianò era indagato per traffico di immigranti, secondo gli inquirenti avrebbe fatto parte, con il ruolo di basista, di una organizzazione operante in tutto il territorio provinciale dedita anche al contrabbando illegale di tabacchi. La Guardia di Finanza, già da tempo, stava indagando nei suoi confronti. Marcianò aveva precedenti per droga. Subito dopo l’omicidio, Carabinieri e Polizia hanno effettuato numerosi interrogatori e perquisizioni e pare che moglie e figli abbiano collaborato.
Giuseppe Marcianò, indagato per traffico di migranti, era genero di Pino Burzotta, ex consigliere comunale del Psi di Mazara, arrestato e poi assolto dall’accusa di mafia, nonché nipote di Diego Burzotta, considerato un boss mafioso di primo livello e per questo arrestato nel 1998, in Spagna, dove viveva da latitante.
Tratto da gds.it